ITI: I FATTORI CHE INFLUENZANO IL SUCCESSO DELLA TERAPIA

Il raggiungimento dell’immunotolleranza nel 70% dei pazienti con inibitori è sicuramente un risultato notevole, ma non ancora sufficiente. Per mettere a punto una terapia che risulti efficace su tutti i pazienti è necessario comprendere come mai, in alcuni casi, la terapia ITI (Immunotolerance Induction) non mostra la sua efficacia, e individuare tutti i fattori che possono influenzarne la buona riuscita. È ormai riconosciuto da tempo che il titolo, ossia la quantità di inibitori prodotti dall’organismo, può influire sulla probabilità di successo dell’ITI, ma sono stati suggeriti anche altri possibili fattori coinvolti. In particolare, pare che le seguenti condizioni siano associate a una maggiore probabilità che l’ITI mostri la sua massima efficacia:

  • età inferiore agli 8 anni al momento dell’inizio della terapia ITI;
  • tempo trascorso tra la comparsa degli inibitori e l’inizio della terapia ITI inferiore ai 5 anni, idealmente non superiore ai 2 anni;
  • alcuni tipi di mutazione del fattore VIII, definite a basso rischio;
  • costanza nella somministrazione della terapia ITI, ed eventuali interruzioni non superiori alle 2 settimane;
  • in caso di inibitori ad alto titolo (HTI, High Titre Inhibitors) e di relativa sospensione temporanea della terapia di sostituzione prima dell’inizio dell’ITI, la velocità con la quale gli inibitori scendono al di sotto delle 10 BU/ml. Più velocemente diminuiscono gli inibitori, più è probabile che l’ITI abbia successo.

Rimane, invece, ancora dibattuta l’influenza esercitata dal tipo di concentrato di fattore VIII impiegato (plasmaderivato o ricombinante) e delle dosi somministrate, poiché gli studi condotti finora hanno dato risultati contraddittori o poco significativi. I fattori che sembrano entrare in gioco nel determinare il successo dell’ITI sono molteplici, e sono necessarie ancora ulteriori indagini per capire in che misurano questi esercitino la loro influenza. In questo modo, sarà possibile identificare eventuali variabili sulle quali si può intervenire dall’esterno per incrementare al massimo le probabilità di successo dell’ITI, ad esempio iniziando la terapia prima possibile, subito dopo la comparsa degli inibitori.

Gli inibitori contro il fattore VIII rappresentano, ancora oggi, la più grave minaccia alla salute dei pazienti affetti da emofilia ma, grazie ai continui progressi della scienza, un futuro senza inibitori è un obiettivo sempre più vicino.

 

Fonti:

  • Valentino L. A. et al. US Guidelines for immune tolerance induction in patients with haemophilia A and inhibitors. Haemophilia (2015), 21: 559–567
  • Mancuso M. E. et al. Immune tolerance induction in hemophilia. Clin. Invest. (Lond.) (2015), 5(3): 321–335
  • Kempton C. L. et al. Toward optimal therapy for inhibitors in hemophilia. Blood (2014), 124 (23): 3365-3372
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Assenza di reazione immunitaria nei confronti di uno specifico elemento. Nel caso dell’emofilia, si parla di immunotolleranza quando l’organismo tollera la presenza del fattore VIII infuso durante la terapia, non lo percepisce come un elemento estraneo da neutralizzare, e quindi non produce anticorpi contro di esso (inibitori).

Anticorpi prodotti dal sistema immunitario del paziente affetto da emofilia, in seguito all’infusione del fattore VIII sostitutivo.

Gli inibitori riconoscono il fattore VIII infuso e vi si legano in maniera specifica, neutralizzandone l’effetto.