DAL SANGUE FRESCO AI CONCENTRATI, STORIA DELLA TERAPIA DI SOSTITUZIONE

Al giorno d’oggi, le persone affette da emofilia possono contare su dei trattamenti che gli consentono di mantenere il controllo sulla malattia e di vivere una vita pressoché normale. Purtroppo, però, non è sempre stato così. Fino a pochi decenni fa, infatti, l’emofilia era legata a un altissimo tasso di mortalità. Lo straordinario miglioramento che si è verificato di recente è stato reso possibile dall’evoluzione della terapia di sostituzione.

Negli anni ’50 del secolo scorso, fino a metà degli anni ’60, l’unico modo per somministrare agli emofilici il fattore VIII mancante era quello di praticare infusioni a base di sangue intero o plasma fresco, entrambi provenienti da persone sane. Sfortunatamente, però, sangue e plasma non contengono i quantitativi di fattore VIII in grado di arrestare i sanguinamenti più estesi, per cui il tasso di mortalità continuava a mantenersi alto tra chi era affetto da emofilia severa.

Un importante passo avanti fu fatto nel 1964, quando la scienziata americana Judith Graham Pool si accorse che scongelando il plasma precedentemente congelato si forma un sedimento, il crioprecipitato, molto ricco di fattore VIII. La procedura per ottenere il crioprecipitato era piuttosto semplice, per cui le stesse banche del sangue erano in grado di produrlo in grandi quantità. In questo modo, per la prima volta, grandi concentrazioni di fattore VIII potevano essere infuse in volumi molto piccoli, e anche i sanguinamenti più gravi potevano essere arrestati. Tuttavia, i crioprecipitati presentavano un limite: potevano essere conservati e somministrati esclusivamente all’interno di strutture sanitarie specializzate.

Questo problema venne superato con l’impiego dei primi concentrati di fattore VIII ottenuti mediante liofilizzazione, un processo fisico che, in particolari condizioni ambientali, consente di eliminare tutta l’acqua contenuta in una sostanza senza alterarne le qualità. I concentrati liofilizzati, il cui uso si diffuse negli anni ’70, potevano essere conservati a lungo e in semplici frigoriferi da cucina, e inoltre erano molto più semplici da somministrare. Queste caratteristiche portarono a una vera e propria rivoluzione nella terapia di sostituzione: la possibilità per l’emofilico di somministrarsi autonomamente il fattore VIII, direttamente in casa propria. L’indipendenza dalle strutture sanitarie per la somministrazione della terapia di sostituzione ha generato innumerevoli benefici, tra cui l’introduzione del concetto di prevenzione, grazie all’avvento della profilassi.

Con l’impiego dei concentrati liofilizzati, infatti, diventa possibile programmare le infusioni in modo che l’organismo riceva il fattore VIII in modo costante, e non soltanto all’occorrenza, riducendo drasticamente il rischio di sanguinamenti e le complicanze ad essi associati. Da quel momento in poi, le tecniche di produzione dei concentrati hanno visto ancora innumerevoli miglioramenti, ma la ricerca continua a lavorare in modo inarrestabile per fornire ai malati di emofilia dei trattamenti sempre più sicuri ed efficaci.

 

Fonti:

  • Mannucci PM, Back to the future: a recent history of haemophilia treatment. Haemophilia. 2008; 14 Suppl 3:10–18
  • Franchini M et al, The history of hemophilia. Semin Thromb Hemost. 2014; 40(5):571–576
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Terapia per il trattamento dell’emofilia di tipo A, che consiste nella somministrazione per via endovenosa del fattore VIII mancante, così da ripristinare il corretto svolgimento del fenomeno della coagulazione del sangue e prevenire l’insorgenza di episodi emorragici.

La terapia di sostituzione può essere somministrata secondo due regimi terapeutici: al bisogno o come terapia di profilassi.